Cibo per la mente #2 Marcovaldo

Per tanto tempo non l’ho voluto confessare, pensando potesse apparire troppo poco “intellettuale”, ma ci sono buone probabilità che il mio libro preferito, il mio libro del cuore in assoluto, sia Marcovaldo, Ovvero le stagioni in città di Italo Calvino. Oggi non ho più alcun problema ad ammetterlo, né a consigliarne la lettura o rilettura a ogni pié sospinto, poiché ritengo che sia una di quelle (poche) opere che non solo hanno il pregio di crescere con il lettore, bambino, ragazzo, adulto, accompagnando ogni età con un livello sempre differente di comprensione e approfondimento, ma anche di non invecchiare mai. I 20 brevi racconti che compongono il libro sono stati infatti scritti fra il 1952 e il 1963, ma risultano ancora oggi, e forse più che mai, di una attualità e modernità sconvolgenti. Racconti brevi, s’è detto, ma intensi e coinvolgenti, ricchi di poesia e saggezza, di feroce critica alla società moderna, ieri come allora, nascosta in contesti semplici come favole (non per niente Calvino in vita sarà anche autore di una raccolta di fiabe), dal tono a tratti lieve e umoristico, a tratti malinconico, quasi tragicomico.

Il protagonista Marcovaldo, operaio squattrinato con moglie e 6 figli a carico, non è però un Fantozzi, un rassegnato perdente, bensì un sognatore, sì ingenuo ai limiti del naïf, ma ottimista e mai vinto, sempre alla ricerca di qualcosa di bello ed entusiasmante, ed è per questo che ancora di più in questi tempi improbabili mi sento di consigliare la lettura di questo libro. Non per amareggiare, bensì per aiutarci a guardarci attorno, con occhio critico, ma anche libero e sognatore e caricarci di sogni e propositi per il “dopo” che ci attende, come individui e come società.

In Marcovaldo si parla spesso di cibi. Cibi consumati, ma soprattutto cibi inseguiti, sognati e desiderati, come le Crèpes Suzette che il protagonista intravede dalla vetrina di un ristorante di lusso, immagine di qualcosa di ricco e prelibato, un po’ come la mozzarella in carrozza del film del 1948 Ladri di Biciclette di Vittorio de Sica, capolavoro del neorealismo, con cui le atmosfere del libro di Calvino hanno tanto in comune.
Con un po’ di accortezze, in realtà, le crèpes non sono tanto difficili da fare e non richiedono nemmeno troppi ingredienti astrusi, un altro piatto ideale da provare a scoprire, o riscoprire in questi giorni di quarantena.

 

Crèpes Suzette
Per 4 persone.
Ingredienti:
250 g di farina, 3 uova medie, 500 ml di latte, 50 g di zucchero semolato, 2 cucchiai di liquore all’arancia, oppure di succo di arancia, un pizzico di sale un po’ di burro per la cottura. Per farcire: 100 g di zucchero, 100 g di burro, 1 grossa arancia o 2 mandarini, un paio di cucchiai di liquore di arancia (facoltativo), zucchero a velo vanigliato, per guarnire

Preparazione:
Preparate le crêpe: in una ciotola stemperate la farina nel latte, usando una frusta manuale. Aggiungete le uova sbattute, lo zucchero ed il sale. Fate riposare la pastella per un’ora.

Fate scaldare una padellina per crèpes (oppure una padella ben antiaderente di circa 18/20 cm di diametro), unite una nocciolina di burro, fatela sciogliere muovendo la padella per distribuirlo bene. Versate nella padella un mestolino di pastella e muovete la padella in tondo, in modo che si formi uno strato sottile e uniforme. Fate cuocere la crêpe un paio di minuti, poi giratela con delicatezza (aiutandovi con una spatolina o, se vi sentite avventurosi, provando a farlo al volo) e fate cuocere anche dall’altro lato. Procedete così fino a esaurimento della pastella, tenendo le crèpes man mano al caldo fra due piatti.

Preparate la farcia: lasciate ammorbidire il burro a temperatura ambiente, ponetelo in una ciotolina e lavoratelo con la frusta fino a ottenere un composto gonfio e spumoso. Unite lo zucchero, il succo dell’arancia o dei mandarini, un po’ di buccia grattugiata e il liquore, se lo usate. Spalmate ogni crêpe ben calda con un po’ della crema ottenuta, ripiegatele in quattro, disponetele sul piatto da portata, spolverizzatele con lo zucchero vanigliato. Servitele subito caldissime. Se desiderate una presentazione più di effetto, potete fiammeggiarle dopo averle spruzzate con un poco di liquore.

Un piatto che, invece, dal nostro Marcovaldo è tutto meno che sognato, ed anzi… proprio non gli va giù, è una rustica padellata di salsiccia e rape, un piatto povero, antico, che a molti farà storcere il naso, ma che invece è ottimo e ricco di sfumature di sapori, oltre che semplice e veloce da preparare, economico e di stagione. Io, personalmente, lo adoro e vi invito a provarlo!

Salsiccia e rape
Per 4 persone.
Ingredienti:
400 g di salsiccia, 3 rape medie ben sode, bianche o “dal colletto viola”, 2 spicchi di aglio, 1 rametto di rosmarino, olio extravergine di oliva, sale, pepe (a piacere, peperoncino), 1/2 bicchiere di vino bianco secco

Preparazione:
Mondate e sbucciate le rape, se avessero anche le foglie verdi, conservatele e utilizzatele. Fate sbollentare le rape tagliate a tocchetti in acqua leggermente salata per 8 minuti, aggiungendo le foglie nell’ultimo minuto di cottura. Scolatele bene.

Nel frattempo, disponete la salsiccia a tocchetti in una ampia padella assieme agli spicchi di aglio sbucciati e leggermente schiacciati e al rosmarino (se piace, anche un po’ di peperoncino fresco o secco). Accendete la fiamma e fate andare a fiamma vivace, finché la salsiccia non avrà buttato parte del suo grasso e iniziato a rosolare. Sfumate con mezzo bicchiere di vino, lasciatelo evaporare, poi unite le rape e le foglie, salate leggermente e pepate. Fate cuocere a fiamma media, mescolando di tanto in tanto, per circa 15 minuti, o finchè la salsiccia non sarà ben cotta e le verdure arrostite. Assaggiate per regolare eventualmente di sale e servite.

Salsiccia e rape così preparate sono ottime da mangiare così, meglio se assieme ad un buon pane casereccio, oppure accompagnate a polenta, patate o legumi lessati o in purea, oppure ancora, a tocchetti più piccoli, per guarnire una pizza o una focaccia rustica.

Diletta Poggiali